venerdì 9 novembre 2012


>> L’Ozio cosiddetto “padre dei vizi” <<

(7^ puntata)



Nella nostra frenetica società molto spesso ci troviamo davanti a una sorta di paradosso: o a non avere tempo per nessuno, né per i rapporti umani, né per sé stessi, oppure ad avere i cosiddetti “tempi morti”, cioè dei momenti vuoti della nostra esistenza. Sarà capitato a tutti di conversare con asserzioni totalmente senza senso, sconclusionate, magari fatte per riempire un momentaneo vuoto, una noia, usando magari male quel tempo che ci viene donato. I cosiddetti “tempi morti”  della nostra esistenza.
Per i latini l' “otium” era la condizione dell'individuo privilegiato, che stavano bene in denaro, se lo potevano permettere solo il padrone ricco di schiavi, che erano padroni della loro vita e di quella degli altri, appunto degli schiavi. Si potevano permettere di oziare solo se non erano costretti a lavorare per sopravvivere. In altre parole l' “otium” dei latini era lo stile di vita del padrone aristocratico, del patrizio romano, del parassita dello Stato, che si gode la cosiddetta “bella vita” avendo molto tempo libero da poter spendere in diverse e divertenti attività. Ecco dunque che gli aristocratici latini potevano permettersi anche di godere della sfera del piacere, della bellezza, del godimento culturale ed estetico, della dimensione ricreativa, ludica e libidinosa della vita. I latini oziando poteva, ad esempio, andare alle Terme e curarsi nel corpo, mentre potevano anche frequentare luoghi di cultura e fare filosofia per arricchire lo spirito. Cosa che invece non poteva fare il povero, lo schiavo costretti a lavorare per sopravvivere assieme alle loro famiglie.
Eppure ancora oggi per molti l'avere tempo per oziare è “roba da ricchi”. Forse è uno stereotipo?
«E’ la vera ricchezza il tempo. Chi è ricco è colui che riesce a gestire il proprio tempo e riesce a spendere il proprio tempo in ciò che ha piacere di fare. Nel momento in cui io ho lavorato 10-12 ore e ne ho dormite almeno 7, 2-3 ore sono dedicate agli spostamenti. Ne rimangono 2. In due ore che cosa faccio? Posso andare a fare una partita di tennis, per esempio due ore non sono sufficienti per una partita di golf. I golfisti si sono fatti costruire la casa vicino al campo da golf per il tempo. Perché i golfisti amano passare il tempo con la loro passione»
E lei come fa?
«Ho delle altre persone che mi aiutano evidentemente. Cioè do lavoro ad altre persone, la mia segretaria e i miei collaboratori talvolta fanno anche delle attività che io dovrei fare nella mia vita privata, del tipo andare a farmi aggiustare la macchina perché altrimenti non sarei in grado di portarla»(1)..
La storia comunque si ripete. Perchè se all'epoca dei romani l'ozio era per i ricchi patrizi, chi lavorava? Gli schiavi come abbiamo detto. Oggi invece, come abbiamo sentito, i ricchi si divertono giocando a golf nel loro molto tempo libero, mentre fanno lavorare altre persone per addirittura farli  fare cose piccole come andare ad aggiustare l'automobile.


Una sociologa alla giornalista della già citata trasmissione Rai Ballarò dice infatti: «Le classi sociali più alte hanno più tempo perché hanno la possibilità di acquistare dei servizi che consentono di ridurre il tempo vincolato, quello che ci è dato, quello che non si può scegliere perché è fatto di incombenze».
Questo interessante servizio citato ci dice anche che sono nate delle società di servizi proprio per soddisfare i benestanti, la ricca borghesia: ad esempio prenotare i posti e farsi i biglietti per un viaggio, noleggiarsi automobili, fare la fila per rinnovare il passaporto al proprio ricco cliente.... fino addirittura a cercare regali per le festività ai propri cari, mogli, figli ecc. fino a far dire al titolare di una agenzia specializzata in questi servizi che «noi cerchiamo quel regalo, glielo impacchettiamo e glielo recapitiamo ovviamente non arriviamo a scrivere il bigliettino perché sarebbe abbastanza impersonale e però quello è un bel risparmio di tempo!»(2).
C'è invece l'altra parte che non può certo permettersi di oziare, che viaggia sui mezzi pubblici per andare a lavorare e che non ha neanche pochi minuti per riposare. Significativa questa battuta colta al volo all'entrata di una linea della metropolitana di Roma sempre dalla giornalista di Ballarò del servizio sopra citato:«Il tempo? Se ne ha un po’ da darmi la ringrazio, non ne ho»(3). Ed anche quest'altra breve storia raccontata da una donna sempre in quella trasmissione: «Ho l’intera famiglia sulle spalle, ho le figlie che escono da scuola e nessun altro le può andare a prendere. Ho il cane, porto il cane a fare la passeggiata, poi torno a casa mi preparo, esco e vado a fare la spesa, poi torno, aiuto mia mamma, preparo, vado a prendere a scuola le ragazze, il pomeriggio le aiuto a fare i compiti, A fine giornata desidero solo un letto dove dormire»(4).

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Eppure i greci coniarono la frase “epimelestai eautou”, cioè “occupati di te stesso” quello che i latini chiamavano appunto l' “otium” che serviva a curare l'anima e il corpo. E non era certamente inteso come una perdita di tempo, per chi se lo poteva permettere. Furono i filosofi ed i poeti a scoprire questa sorta di “terapia”, di “medicina” dello spirito. Queste persone si incontravano per disquisire ma anche per curare bene il proprio corpo ad esempio alle terme, oppure facendo dello sport che faceva bene anche allo spirito. Ed è attraverso la cura e l’intenso rapporto del sé, correggendolo e trasformandolo che si arriva, per certuni, alla edificazione della propria salvezza. Dunque una modalità di approccio quasi terapeutica e per certi versi edonistica. 
«E’ l’esperienza di sé che si forma in questo possesso, non è semplicemente quella di una forza padroneggiata (...); è quella di un piacere che si trae da se stessi»(5).
Appare chiaro allora che possono curare con apposite tecniche il proprio Essere solo i cosiddetti «spiriti tranquilli e sereni (...) mentre quelli sempre carichi di impegni, come fossero sotto un giogo, non possono voltarsi a guardare indietro(...). La loro vita, dunque, si perde negli abissi del tempo (...) non ha alcuna importanza la quantità di tempo concesso se non ha un luogo per raccogliersi, ma passa attraverso delle vite sconnesse e incapaci di trattenerlo»(6).
Tutto nella vita dell'uomo ha un prezzo e quello «altissimo da pagare è la perdita di serenità. Come fa l'uomo veloce a liberarsi dal senso di angoscia che lo invade quando si ritrova in un vizioso inseguimento di cose da fare che non riescono a portare a termine per colpa di altre cose da fare che non si riescono a portare a termine, e così via...?»(7).
Per questo tipo di persone può esistere allora il “dolce far niente”? Esiste il cosiddetto “diritto all'ozio”?
Ci dice ancora Baker nel suo libro già citato che «pigrizia e ozio non sono la stessa cosa. (...) L'ozio ha un legame nobile con la cultura latina, ha connotati filosofici accettati pure dai borghesi più biechi. Mentre la pigrizia è figlia rinnegata, roba da fogna, bersaglio di tutti i moralismi. Essere pigri equivale ad essere delinquenti»(8).
Un tempo infatti l'ozio e la pigrizia facevano parte, per il cristianesimo più chiuso, dei vizi-peccati capitali: era l'accìdia osteggiata dalla tradizione giudaico-cristiana. In proposito il teologo battista statunitense Harvey Cox ha scritto: «Acedia viene dalle parole greche per esprimere non curanza (a-non: kedos-cura). I primi teologi cristiani considerarono acedia (accìdia) come uno dei sette peccati mortali»(9).


Se ricordate i nostri nonni dicevano che senza fare niente vengono i cattivi pensieri, mentre invece oggigiorno abbiamo bisogno di un tempo di ozio, non tanto per “bighellonare” tradotto più volgarmente in “cazzeggiare”; da quell'ozio (che etimologicamente è la negazione del “negotium”) che invece può diventare una virtù, cioè il saper gestire bene il proprio tempo libero con la creatività per migliorare, coltivare e valorizzare bene l'Essere, lo Spirito: non si è certo dei fannulloni se si impiega il tempo nella lettura di bei libri, nella visione di una mostra d'arte, in una passeggiata in campagna ascoltando i grilli e le cicale cantare, o nello stare seduti in spiaggia sotto il sole ad osservare il mare, le barche e l'orizzonte e meditare, riflettere e godere delle bellezze naturali o far correre i propri pensieri alla ricerca di ispirazioni poetiche o di altro. Ciò ci darebbe gioia e piacere nella vita soltanto se riuscissimo a volerlo, soltanto se riuscissimo meglio ad organizzare il nostro tempo. E se ne avessimo davvero le possibilità. «In fondo, il dolce far niente può essere l'occasione di un calmo viaggio all'interno di noi stessi. (...) Non fare niente ci permette di inseguire un pensiero passeggero, una musica sconosciuta ma familiare, contemplare il viso di un essere caro. E non trarne subito delle conseguenze»(10).


(1) Tratto da Ballarò trasmissione del 18/11/2008 – servizio “Il rapporto tra tempo libero e tempo lavoro – Poter vivere il tempo libero è la vera ricchezza di oggi” di Manuela Maddaloni e Vizia Portella
(2)    Ibidem
(3)     Ibidem
(4)     Ibidem
(5)     M. Foucault (1984) “La cura di Sé”, tr.it. Feltrinelli, Milano 1993, p. 46.
(6)     L.A. Seneca, “La brevità della vita”, Newton Compton, Roma 1994, p. 3
(7)     C.Baker, “Ozio, lentezza e nostalgia”, EMI, Bologna 2001, p. 49
(8)     Ibidem p. 69
(9)  H. Cox, “Non lasciatelo al serpente”, traduzione di A. Sorsata, (Teologia Publica), Queriniana editrice, Brescia, 1969, p.15
(10)    Ibidem p. 78

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