>> L’Ozio cosiddetto “padre dei vizi” <<
(7^ puntata)
Nella nostra frenetica società molto spesso ci troviamo
davanti a una sorta di paradosso: o a non avere tempo per nessuno, né per i
rapporti umani, né per sé stessi, oppure ad avere i cosiddetti “tempi morti”,
cioè dei momenti vuoti della nostra esistenza. Sarà capitato a tutti di
conversare con asserzioni totalmente senza senso, sconclusionate, magari fatte
per riempire un momentaneo vuoto, una noia, usando magari male quel tempo che
ci viene donato. I cosiddetti “tempi morti”
della nostra esistenza.
Per i latini l' “otium” era la condizione dell'individuo
privilegiato, che stavano bene in denaro, se lo potevano permettere solo il
padrone ricco di schiavi, che erano padroni della loro vita e di quella degli
altri, appunto degli schiavi. Si potevano permettere di oziare solo se non
erano costretti a lavorare per sopravvivere. In altre parole l' “otium” dei
latini era lo stile di vita del padrone aristocratico, del patrizio romano, del
parassita dello Stato, che si gode la cosiddetta “bella vita” avendo molto
tempo libero da poter spendere in diverse e divertenti attività. Ecco dunque
che gli aristocratici latini potevano permettersi anche di godere della sfera
del piacere, della bellezza, del godimento culturale ed estetico, della
dimensione ricreativa, ludica e libidinosa della vita. I latini oziando poteva,
ad esempio, andare alle Terme e curarsi nel corpo, mentre potevano anche
frequentare luoghi di cultura e fare filosofia per arricchire lo spirito. Cosa
che invece non poteva fare il povero, lo schiavo costretti a lavorare per
sopravvivere assieme alle loro famiglie.
Eppure ancora oggi per molti l'avere tempo per oziare è “roba
da ricchi”. Forse è uno stereotipo?
«E’ la vera ricchezza il tempo. Chi è ricco è colui che
riesce a gestire il proprio tempo e riesce a spendere il proprio tempo in ciò
che ha piacere di fare. Nel momento in cui io ho lavorato 10-12 ore e ne ho
dormite almeno 7, 2-3 ore sono dedicate agli spostamenti. Ne rimangono 2. In due ore che cosa
faccio? Posso andare a fare una partita di tennis, per esempio due ore non sono
sufficienti per una partita di golf. I golfisti si sono fatti costruire la casa
vicino al campo da golf per il tempo. Perché i golfisti amano passare il tempo
con la loro passione»
E
lei come fa?
«Ho delle altre persone che mi aiutano evidentemente. Cioè do
lavoro ad altre persone, la mia segretaria e i miei collaboratori talvolta
fanno anche delle attività che io dovrei fare nella mia vita privata, del tipo
andare a farmi aggiustare la macchina perché altrimenti non sarei in grado di
portarla»(1)..
La storia comunque si ripete. Perchè se all'epoca dei romani
l'ozio era per i ricchi patrizi, chi lavorava? Gli schiavi come abbiamo detto.
Oggi invece, come abbiamo sentito, i ricchi si divertono giocando a golf nel
loro molto tempo libero, mentre fanno lavorare altre persone per addirittura
farli fare cose piccole come andare ad
aggiustare l'automobile.
Una sociologa alla giornalista della già citata trasmissione
Rai Ballarò dice infatti: «Le classi sociali più alte hanno più tempo perché
hanno la possibilità di acquistare dei servizi che consentono di ridurre il
tempo vincolato, quello che ci è dato, quello che non si può scegliere perché è
fatto di incombenze».
Questo interessante servizio citato ci dice anche che sono
nate delle società di servizi proprio per soddisfare i benestanti, la ricca
borghesia: ad esempio prenotare i posti e farsi i biglietti per un viaggio,
noleggiarsi automobili, fare la fila per rinnovare il passaporto al proprio
ricco cliente.... fino addirittura a cercare regali per le festività ai propri
cari, mogli, figli ecc. fino a far dire al titolare di una agenzia
specializzata in questi servizi che «noi cerchiamo quel regalo, glielo
impacchettiamo e glielo recapitiamo ovviamente non arriviamo a scrivere il
bigliettino perché sarebbe abbastanza impersonale e però quello è un bel
risparmio di tempo!»(2).
C'è invece l'altra parte che non può certo permettersi di
oziare, che viaggia sui mezzi pubblici per andare a lavorare e che non ha
neanche pochi minuti per riposare. Significativa questa battuta colta al volo
all'entrata di una linea della metropolitana di Roma sempre dalla giornalista
di Ballarò del servizio sopra citato:«Il tempo? Se ne ha un po’ da darmi la
ringrazio, non ne ho»(3).
Ed anche quest'altra breve storia raccontata da una donna sempre in quella
trasmissione: «Ho l’intera famiglia sulle spalle, ho le figlie che escono da
scuola e nessun altro le può andare a prendere. Ho il cane, porto il cane a
fare la passeggiata, poi torno a casa mi preparo, esco e vado a fare la spesa,
poi torno, aiuto mia mamma, preparo, vado a prendere a scuola le ragazze, il
pomeriggio le aiuto a fare i compiti, A fine giornata desidero solo un letto
dove dormire»(4).
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Eppure i greci coniarono la frase “epimelestai eautou”, cioè
“occupati di te stesso” quello che i latini chiamavano appunto l' “otium” che
serviva a curare l'anima e il corpo. E non era certamente inteso come una
perdita di tempo, per chi se lo poteva permettere. Furono i filosofi ed i poeti
a scoprire questa sorta di “terapia”, di “medicina” dello spirito. Queste
persone si incontravano per disquisire ma anche per curare bene il proprio
corpo ad esempio alle terme, oppure facendo dello sport che faceva bene anche
allo spirito. Ed è attraverso la cura e l’intenso rapporto del sé,
correggendolo e trasformandolo che si arriva, per certuni, alla edificazione
della propria salvezza. Dunque una modalità di approccio quasi terapeutica e
per certi versi edonistica.
«E’ l’esperienza di sé che si forma in questo possesso, non è
semplicemente quella di una forza padroneggiata (...); è quella di un piacere
che si trae da se stessi»(5).
Appare chiaro allora che possono curare con apposite tecniche
il proprio Essere solo i cosiddetti «spiriti tranquilli e sereni (...) mentre
quelli sempre carichi di impegni, come fossero sotto un giogo, non possono
voltarsi a guardare indietro(...). La loro vita, dunque, si perde negli abissi
del tempo (...) non ha alcuna importanza la quantità di tempo concesso se non
ha un luogo per raccogliersi, ma passa attraverso delle vite sconnesse e
incapaci di trattenerlo»(6).
Tutto nella vita dell'uomo ha un prezzo e quello «altissimo
da pagare è la perdita di serenità. Come fa l'uomo veloce a liberarsi dal senso
di angoscia che lo invade quando si ritrova in un vizioso inseguimento di cose
da fare che non riescono a portare a termine per colpa di altre cose da fare
che non si riescono a portare a termine, e così via...?»(7).
Per questo tipo di persone può esistere allora il “dolce far
niente”? Esiste il cosiddetto “diritto all'ozio”?
Ci dice ancora Baker nel suo libro già citato che «pigrizia e
ozio non sono la stessa cosa. (...) L'ozio ha un legame nobile con la cultura
latina, ha connotati filosofici accettati pure dai borghesi più biechi. Mentre
la pigrizia è figlia rinnegata, roba da fogna, bersaglio di tutti i moralismi.
Essere pigri equivale ad essere delinquenti»(8).
Un tempo infatti
l'ozio e la pigrizia facevano parte, per il cristianesimo più chiuso, dei vizi-peccati
capitali: era l'accìdia osteggiata dalla tradizione giudaico-cristiana. In
proposito il teologo battista statunitense Harvey Cox ha scritto: «Acedia viene
dalle parole greche per esprimere non curanza (a-non: kedos-cura). I primi
teologi cristiani considerarono acedia (accìdia) come uno dei sette peccati
mortali»(9).
Se ricordate i
nostri nonni dicevano che senza fare niente vengono i cattivi pensieri, mentre
invece oggigiorno abbiamo bisogno di un tempo di ozio, non tanto per
“bighellonare” tradotto più volgarmente in “cazzeggiare”; da quell'ozio (che
etimologicamente è la negazione del “negotium”) che invece può diventare una
virtù, cioè il saper gestire bene il proprio tempo libero con la creatività per
migliorare, coltivare e valorizzare bene l'Essere, lo Spirito: non si è certo
dei fannulloni se si impiega il tempo nella lettura di bei libri, nella visione
di una mostra d'arte, in una passeggiata in campagna ascoltando i grilli e le
cicale cantare, o nello stare seduti in spiaggia sotto il sole ad osservare il
mare, le barche e l'orizzonte e meditare, riflettere e godere delle bellezze
naturali o far correre i propri pensieri alla ricerca di ispirazioni poetiche o
di altro. Ciò ci darebbe gioia e piacere nella vita soltanto se riuscissimo a
volerlo, soltanto se riuscissimo meglio ad organizzare il nostro tempo. E se ne
avessimo davvero le possibilità. «In fondo, il dolce far niente può essere
l'occasione di un calmo viaggio all'interno di noi stessi. (...) Non fare
niente ci permette di inseguire un pensiero passeggero, una musica sconosciuta
ma familiare, contemplare il viso di un essere caro. E non trarne subito delle
conseguenze»(10).
(1) Tratto da Ballarò trasmissione del 18/11/2008 – servizio “Il
rapporto tra tempo libero e tempo lavoro – Poter vivere il tempo libero è la
vera ricchezza di oggi” di Manuela Maddaloni e Vizia Portella
(2) Ibidem
(3) Ibidem
(4) Ibidem
(5) M. Foucault (1984) “La
cura di Sé”, tr.it. Feltrinelli, Milano 1993, p. 46.
(6) L.A. Seneca, “La brevità
della vita”, Newton Compton, Roma 1994, p. 3
(7) C.Baker, “Ozio, lentezza e nostalgia”, EMI, Bologna 2001, p. 49
(8) Ibidem p. 69
(9) H. Cox, “Non lasciatelo al serpente”, traduzione
di A. Sorsata, (Teologia Publica), Queriniana editrice, Brescia, 1969, p.15
(10) Ibidem p. 78
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