domenica 4 novembre 2012


>> I Tempi dei bimbi <<

(2^ puntata)

«Dai, fai in fretta che è tardi!! Dobbiamo andare a scuola!!» Chissà quante volte ai vostri figli di 5-6 anni avete detto questa frase al mattino quando, assonnati e ancora in pigiama, tergiversano con lo spazzolino da denti in mano o davanti alla colazione: in quel momento per loro non esiste nessun concetto di Tempo. L’orologio ancora non lo sanno leggere e non hanno ancora introiettato come noi adulti il concetto di ritardo o di anticipo. Vedono solo noi adulti che, appena svegli, già ci muoviamo in maniera frenetica, con un occhio sempre alle lancette.
Sì, perché per i bambini capire il Tempo che passa è arduo. Mia figlia, ad esempio, quando aveva quattro anni mi chiedeva «Ma adesso è mattina o pomeriggio? Andiamo alla scuola materna, e poi dormiamo o mangiamo? E quando diventa buio?». Certo, intuiva dei cambiamenti nello scorrere della giornata che viveva, ma non capiva ancora che trascorrevano le ore ed i minuti.
Ancora più difficile, invece, capire il concetto degli anni che passano e della storia nei secoli scorsi. Mio figlio più grande, per esempio, in seconda elementare studiava Storia, ma non come la intendiamo noi: la maestra gli spiegava il concetto di Tempo, dell’ora e dei giorni che passavano, mentre sul libro le pagine riguardavano più che altro la scansione delle ore e della giornata in Antimeridiana (AM) e Pomeridiana (PM), per poi avvicinarsi pian piano al concetto di anni trascorsi, secoli, ere, ecc….
«Un’idea ha un presente, un passato e un futuro, ma questo è poco chiaro nel cervello» come spiega nell’intervista qui di seguito il professor Giovanni Bollea, un luminare nel campo della neuropsichiatria infantile. Certo, da questa battuta si capisce come per loro sia difficile interpretare il Tempo, capire come noi adulti lo viviamo e quali richieste spesso difficili facciamo a loro.
Eppure sempre più spesso troviamo bambini che già alle elementari sono pieni di cose da fare, non si fermano quasi mai, per loro il Tempo è sempre molto carico di attività: dopo l’orario di scuola si va dal corso di musica, al minibasket, al nuoto in piscina, alla partita domenicale di calcio, al corso di inglese, all’oratorio…Così mio figlio, che nel tempo libero fa solo uno sport due volte la settimana a livello amatoriale, arriva a casa che è distrutto, stanco morto, quasi da addormentarsi sul piatto della cena.

 Intervista ad un neuropsichiatra infantile

Il professor Giovanni Bollea, classe 1913 vale a dire 96 anni nel momento che scriviamo (ora scomparso), è stato un innovatore della neuropsichiatria infantile italiana del dopoguerra. Laureatosi nel 1938 in medicina con specializzazione in malattie mentali, la sua formazione in neuropsichiatria infantile è avvenuta a Losanna, Parigi e Londra ed è professore emerito presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
Fondatore e direttore dell’Istituto di neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli a Roma, primo presidente della Società italiana di neuropsichiatria infantile, promotore di innumerevoli iniziative a favore dell'infanzia, è noto al grande pubblico anche per i suoi interventi televisivi. Nel 2003 ha ricevuto la laurea honoris causa in Scienze dell'educazione dell'Università di Urbino e nel 2004 gli è stato conferito il premio alla carriera al Congresso mondiale di psichiatria e psicologia infantile di Berlino. E' membro del Comitato d'Onore del Premio UNICEF - dalla parte dei bambini sin dalla sua istituzione nel 1999. Oltre al compendio di neuropsichiatria infantile ed a più di 250 lavori, ha pubblicato il bestseller “Le madri non sbagliano mai” (Feltrinelli). Nel febbraio 2007 gli è stata attribuita l'onoreficenza di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana direttamente dal Presidente della Repubblica.
«Il tempo per me – ci risponde il professore - è il passaggio da un’idea all’altra, passaggio considerato come cambiamento di idee su qualcosa che tratto in quel momento. Lo vivo come un passaggio da una visione a un’altra visione, che può essere simile o fortemente contrastante. Di qui, appunto, la necessità del cambiamento, che mi viene spontaneo e che cerco di trasmettere a chi mi sta di fronte.
Nel mio Tempo libero mi piace passeggiare tra gli alberi, e camminare guardando vetrine di giochi o di libri. Se posso, andare a teatro, a sentire un’opera o a vedere un balletto, oppure al cinema».
Che cos’è invece il Tempo per i bambini?
«Per i bambini il concetto che ho appena espresso è assurdo, perché per loro non esiste il tempo, ma il cambiamento del tempo. Loro captano una variazione di quel che sentono e si sforzano di capirla. Come? Con l’azione diversa rispetto a quella precedente, che tu devi sapere interpretare. Ecco le due posizioni l’una di fronte all’altra: chi è più abile? Tu nel farti capire o loro nel capirti e risponderti in qualche modo? Qui sta l’arte dell’intesa, che spesso è differente proprio rispetto al tempo: il tempo del tuo cambiamento e il tempo del loro ascolto. E’ un’arte sottile, che è difficile spiegare. Qualche volta con l’esperienza puoi anche capirlo, qualche volta no e pensi a come loro l’abbiano capito.
Tutto questo è qualcosa di immediato, che ti fa pensare. Direi pensare, non capire.
E questa è la bellezza del colloquio, la bellezza dell’inattesa risposta del tuo interlocutore, quindi la bellezza e la difficoltà del comunicare. Perché con i bambini ti pare di intenderti qualche volta sì e qualche volta no? Occorre essere umili e attendere il prosieguo dell’azione tua o del tuo interlocutore. Qualche volta vi capirete, qualche volta no. Ma bisogna sempre ascoltare con umiltà le risposte e con umiltà considerare la possibilità di non aver capito e aspettare il seguito, che forse chiarirà o forse sarà tra le cose impossibili a capirsi.
E’ un dialogo aperto con i bambini, e quindi con i figli».
Quando i bimbi cominciano ad avere cognizione del Tempo?
«Impossibile definirlo, perché è difficile capire la velocità, la differenza, la tempestività delle loro associazioni; associazioni che tu capti, ma che non sai considerare. Un’idea ha un presente, un passato e un futuro, ma questo è poco chiaro nel cervello. Ed è questa la base stupenda dell’umiltà nel capire il bambino. Forse va un po’ meglio se è tuo figlio, se sei abituato, se hai seguito involontariamente, dico involontariamente, la sua maturazione. Altrimenti devi umilmente fermarti a quel che senti e a tentare di capirlo. Può darsi che li si capisca dopo qualche giorno, dopo qualche domanda-risposta, o meglio, domanda-comportamento. Da qui anche la bellezza di guardare negli occhi i bambini: spesso essi parlano prima ancora della lingua».
Come vede il cosiddetto Tempo-scuola dei nostri figli oggi? Stanno troppo o troppo poco sui banchi di scuola?
«Non è importante la lunghezza del tempo che si passa a scuola, ma il tipo di penetrazione tra l’insegnante e gli occhi aperti del bambino: aperti per ascoltare o aperti per abitudine? Come parlano gli insegnanti, durante il tempo trascorso a scuola, quali aggettivi usano, come interpretano gli sguardi di chi sta loro di fronte? E’ difficile per un insegnante scambiare l’occhio aperto e fisso del bambino e la comprensione di questa apertura d’occhi. L’insegnante, per prima cosa, dovrebbe capire la differenza tra lo sguardo, il tipo di sguardo del bambino, se ha sentito o capito.
Quando parlo con i bambini a studio, giro attorno a quel che è stato il loro tempo trascorso con l’insegnante e in base a quello capisco sia il desiderio del bambino, quello che ha potuto capire o desiderare, oppure è rimasto desideroso di capire».
Come dovrebbe impiegare invece il Tempo libero un bambino? Con la tv? Con il computer? Facendo sport? Con i genitori? O in che altro modo?
«Il tempo libero del bambino deve essere il più vario possibile. Non si può dare una misura precisa per ogni attività, ma anche oggi vanno privilegiate certe attività semplici, ma estremamente importanti: fare qualche piccolo lavoro in cucina con la madre, giocare con il padre. Anche nella solitudine, il bambino ricorda il tempo passato con gli altri componenti della famiglia - soprattutto la madre - e le loro voci. I genitori devono sapere che, per i loro figli, le loro sono le voci più belle e per questo dovrebbero smetterla di arrabbiarsi».
Esistono bambini stressati?
«In ogni momento i bambini possono vivere uno stress. E noi non sappiamo il grado di captazione dello stress dei bambini. Lo si sa in generale. I genitori devono sapere che molto dipende dalla loro voce: d’amore o arrabbiata. La prima cosa che faccio è quella di studiare lo stress che i bambini hanno accumulato dal giorno della nascita al giorno della mia visita: il padre che arriva a casa e non sorride, non bacia, non accarezza, non dice “sei bello”. La mamma è buona per eccellenza: accompagna a scuola il figlio, lo veste, lo nutre. Ma il papà che fa? Spesso cerco di ricreare l’amore del padre poco a poco: lui con un atto d’amore mette il bambino sulla canna della bicicletta e va.
Il segreto di ogni famiglia, e che ogni famiglia non sa, è che essa è fatta di due persone - madre e padre - a parità di intensità, di occhi, di voci e di baci».
Dalla sua esperienza di neuropsichiatra infantile come ha visto l’evoluzione dell’uso del Tempo nei bambini? Come lo vivevano nel passato?
«Sarebbe una risposta molto lunga. L’uso del tempo nei bambini è cambiato, perché è cambiata la famiglia: prima che si sviluppassero le città, i bambini erano allevati e trascorrevano la maggior parte del loro tempo con i nonni. Oggi un bambino vive di più con un padre, una madre, dei parenti, con amici e insegnanti. E ha a disposizione il mondo intero, attraverso tv e Internet. Anche se, o meglio soprattutto per questo, dovrebbe esistere sempre una base unica di educazione e dolcezza».



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