martedì 6 novembre 2012

>> Il ciclo biologico della Natura e il Tempo <<

(4^ puntata)




“Quando pensiamo a Einstein immaginiamo sempre di avere a che fare con l’intelligenza fatta persona e, di conseguenza, con il massimo della precisione. Ebbene, perché si sappia, se c’è stato qualcuno che ha messo in dubbio il concetto stesso di tempo e quindi di precisione è stato proprio Albert Einstein. Il fatto che non esista un tempo uguale in tutte le parti dell’Universo lo dobbiamo praticamente a lui. Ora, però, per non aumentare ancora di più il casino creato dalla teoria della relatività, cerchiamo di capire che cos’è il tempo e com’è che cambia da un punto all’altro dell’Universo.
Già tra Milano e Napoli ci sono delle differenze notevoli. A Milano se qualcuno vi dà un appuntamento alle sette davanti al Duomo, potete stare sicuri che lo troverete sotto l’ingresso del Duomo alle sette precise. A Napoli, invece, è tutto più relativo. Innanzitutto non si dice “alle sette” ma “a via d’e sette”, ovvero nei dintorni delle sette, come se le sette non fossero un’ora ma un luogo, e poi, dato il carattere approssimativo dei napoletani, l’appuntamento oscillerebbe tra le sette meno un quarto e le sette e un quarto.
Non parliamo poi di quelli che abitano al Nord, da Milano in su. Io, una volta ho raccontato di avere avuto un appuntamento da una signora svedese alle 19.28.
Questo particolare perché la signora voleva avere due minuti di tempo tra un ospite e l’altro per poter ricevere ciascuno con la massima cortesia. Ovviamente fui puntuale, ma l’orario mi procurò una grave apprensione. Fui costretto ad arrivare con dieci minuti di anticipo, quindi a salire le scale di corsa perché un maledetto signore aveva preso l’ascensore prima di me. (…)” (1)


Come ci dice qui sopra De Crescenzo anche l’uomo è soggetto ad un Tempo biologico.
Ma il Tempo di vita uguale per tutti non esiste. Esiste invece, diciamo, una sorta di “soggettività del Tempo”, di come cioè ciascuno lo vive: chi da rilassato chi da stressato, chi in maniera flemmatica chi un po’ meno.
C’è anche chi invece vorrebbe vivere la propria esistenza oltre i cent’anni. E ci studia su come fare ad arrivarci.
E’ il caso di don Luigi Verzé che da anni sta cercando l’elisir di lunga vita, sta studiando come ottenere la “pillola della longevità, dell’immortalità”. E ci crede talmente tanto lui, a cui i suoi 89 anni di vita non sono ancora sufficienti, che ha creato una sorta di cittadella del ben-essere. Nasce così il “San Raffaele Quo Vadis” a Lavagno (Verona). «Da qui parte la nuova Medicina-Sentinella per il lancio della integrazione dell’Uomo nelle sue tre componenti: corpo, psico-intelletto, spirito. Alla conquista di se stesso quale immagine del Dio vivente. Infatti, contrariamente alle confuse opinioni, qui non andiamo ad erigere un altro Ospedale – sono le parole di don Verzé mentre poneva la prima pietra – Il Quo Vadis sarà la città del ben-essere per l’uomo, questo composito di corpo, intelletto, spirito» (2). Oltre a don Verzé ci crede anche Silvio Berlusconi che era presente alla cerimonia della posa della prima pietra di questa struttura il 22 giugno 2007.
Ma il sogno di questo sacerdote sta in queste tre paroline che sembrerebbero magiche: ben-essere, ben-stare, ben-gestirsi. Tutto qui. E già oggi, in natura, esistono persone longeve e chi nasce ora supererà in media 100 anni.
«Lo studio della popolazione di Okinawa, in Giappone, indica la strada della sana longevità (ma chi se ne allontana muore prima), a Limone e in Sardigna si studiano i geni dei vegliardi senza acciacchi. Sedici anni fa è nata negli Stati Uniti la medicina anti-invecchiamento. La straordinaria velocità delle scienze nell’esplorare il funzionamento della cellula ha portato gli studiosi a prolungare a 120 anni l’aspettativa di vita. E già oggi le nuove frontiere della medicina preventiva, predittiva e rigenerativa fanno intravedere affascinanti orizzonti che promettono la sconfitta delle malattie e il prolungamento delle funzioni vitali, riprogrammando il proprio assetto biochimico fino a invertire il processo di senescenza: come usare gli alimenti e le sostanze naturali, come potenziare le nostre difese immunitarie con le emozioni positive, come utilizzare i nuovi farmaci senza subire effetti collaterali, come sostituire le nostre cellule malate con le cellule staminali.  E tra pochi decenni sarà possibile inserire nel nostro corpo microrobot computerizzati contenenti l’intero nostro codice genetico e nanorobot capaci di monitorare in permanenza i pericoli futuri ed eliminarli tempestivamente sia rilasciando i farmaci più opportuni che provvedendo materialmente alle “riparazioni” necessarie» (3). 
Inoltre se si vuole vivere di più basta mangiare di meno: è dimostrato che mangiando poco si vive più a lungo. Se qualcuno di noi ha voglia di “barattare” una lunga vita con una tavola un po’ meno ricca si faccia avanti. Il tutto è stato dimostrato da uno studio pubblicato sulla rivista Science, dall’equipe di Richy Colman della University of Wisconsin-Madison. Tale studio è stato effettuato su delle scimmie, animali molto simili a noi, con risultato che «una dieta ipocalorica ma nutriente assicura la longevità e ritarda l’insorgenza di malattie tipiche della terza età come cancro, diabete, patologie cardiovascolari. Alimentazione e longevità sono state associate da tanto tempo e sono ormai numerosi gli studi scientifici che dimostrano su svariate specie animali che mangiare meno allunga la vita. Si parla di restrizione calorica, ossia di seguire una dieta ipocalorica ma comunque nutriente, sana»(4).
Gli studiosi hanno diviso le scimmie in due gruppi, «uno che ha mangiato a piacimento, l’altro che mangiava il 30% (gli esperti hanno qualificato l’apporto calorico giornaliero di quelle lasciate libere di mangiare e sulla base di esso hanno messo a punto la dieta ipocalorica delle altre). In venti anni di osservazione la metà delle scimmie che mangiano liberamente è morta, l’80% di quelle a dieta è ancora viva» (5). Un tale esperimento è però difficile da fare, ammettono gli scienziati, direttamente sull’uomo.
A riprova di questa longevità, abbiamo però scovato alcuni casi questa volta umani e reali. Parliamo ad esempio della donna più vecchia d’Europa: il 4 marzo del 2009 aveva compiuto 113 anni e pare fossero ben portati, senza mai un problema di salute a parte un intervento chirurgico. Era una donna italiana, il suo nome era Lucia Lauria.
«Secondo il sito “Gereontology Research Group” nel mondo solo 8 persone sono più vecchie, quasi tutte giapponesi e americane, come la detentrice del record di longevità, Gertrude Baines, nata il 6 aprile 1894» (6).
Inoltre, con la vecchiaia, si ha la sensazione soggettiva che il trascorrere delle ore sembra accelerato. «Quando si va avanti con l’età – sottolinea John Wearden, psicologo all’Università di Manchester - si fanno meno cose e si diventa più abitudinari. Il tempo risulta così più vuoto di ricordi e sembra quindi più corto» (7). Ecco dunque che importanti eventi e festività di riferimento sembra che ritornino sempre più velocemente ogni anno.

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Il Tempo però si dilata e si accorcia come un elastico sulla base delle esperienze e delle percezioni personali. Ecco dunque che certi momenti o certe giornate intere sembrano brevissime, mentre altri sembra non passino mai. E molto spesso ciò dipende anche dallo stato d’animo con cui ci poniamo.
«La nostra memoria – spiega ancora lo psicologo John Wearden, dell’Università di Manchester – tende a cancellare i minuti, le ore e i giorni vuoti di esperienze interessanti, trascinati in attività di routine, mentre si riempie dei giorni pieni di eventi» (8).
Siamo dunque noi, con un nostro “orologio interiore”, a scandire il nostro Tempo come singoli individui sulla base di criteri del tutto soggettivi, veniamo influenzati dal nostro umore e dal nostro stato d’animo.
Inoltre eventi drammatici quali, ad esempio, un incidente d’auto, rallentano per così dire la percezione nell’uomo dello scorrere del Tempo: essi «rimangono impressi come se fossero stati girati al rallentatore perché il cervello viene paralizzato dalle brutte sensazioni collegate all’episodio - dice Gigliola Grassi Zucconi, neurobiologa all’Università di Perugina – I pensieri si trasformano in azioni con difficoltà e la memoria registra quindi gli avvenimenti come una pellicola rallentata» (9).

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Interessante a questo punto scoprire che il “timer” dell’uomo, ovverosia l’”orologio umano” in grado di per così dire “cronometrare” i momenti della vita umana, si trova in un piccolo gruppo di neuroni situato alla base del cervello, più precisamente nell’ipotalamo il cui funzionamento è ritmico e regola il Tempo della nostra esistenza: esso emette come delle scariche elettriche la cui frequenza cambia ad ore fisse, il cui massimo di queste scariche lo si ha nelle prime ore pomeridiane, mentre un picco minimo dopo mezzanotte.
Un altro esempio legato a questo nostro “orologio biologico” lo abbiamo quando ci si sveglia qualche secondo prima che la sveglia suoni in quanto è sempre lui, il già citato ipotalamo che segnala la necessità di alzarci dal letto.
Oltre a questa ghiandola del cervello c’è anche la ghiandola pineale che produce la melatonina, un ormone la cui produzione massima avviene verso la metà della notte e il picco minimo lo si ha a metà giornata. Queste continue variazioni funzionano come una sorta di “metronomo” per dare “il ritmo” al nostro organismo. Esistono anche le cosiddette “clock proteins” generate sempre dalle cellule cerebrali a cicli di 24 ore l’uno.
A dare impulso e sincronia a questi elementi è senza dubbio il sole e l’alternanza buio-luce, giorno-notte. Se così non fosse gli orologi umani andrebbero velocemente in tilt: basti pensare a quelle persone che lavorano di notte e dormono di giorno, oppure agli astronauti che rimangono nello spazio per qualche tempo e che, al loro rientro, non hanno più la cognizione del tempo; od ancora, quelle persone che, per motivi di lavoro, viaggiano in aereo e che, in pochissime ore, cambiano vari fusi orari nel giro di poche ore.
«Ma è soprattutto con l’età e con alcune malattie – spiega sempre la neurobiologa Gigliola Grassi Zucconi – che il senso del tempo può davvero andare in panne» (10).
Come esempio di alterazione del senso del tempo prendiamo il caso di una donna, Diane Van Deren, 49 anni, che abita in Colorado vicino alle Montagne Rocciose. Lei, maratoneta, tre figli ed un marito, da quando nel 1997 ha subìto l’asportazione di parte del lobo temporale destro del cervello perché soffriva di epilessia (dai tre ai cinque attacchi a settimana), «non ricorda e non riconosce quasi nessuno» (11) . Eppure lei corre ancora «per i canyon, pure di notte con una lampada sulla fronte, del tempo e delle distanze non sa. Quando parte dice: “Se non mi vedete entro cinque ore, chiedete aiuto”» (12). 
Anche la semplice febbre altera il senso del tempo. Tale intuizione, dovuta al fisiologo americano Hudson Hoagland, è confermata da «recenti ricerche secondo cui l’aumento della temperatura cerebrale fa percepire il tempo più lungo di almeno il 20%» (13).
Ma la neurobiologa Grassi Zucconi dice che «le malattie più legate ai ritmi degli orologi biologici che regolano il sonno sono la depressione, l’encefalite letargica, un’infezione che colpisce il cervello, la schizofrenia catatonica e il morbo di Parkinson» (14). 

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Oggigiorno anche le mucche e i polli sono stressati. E la colpa ricade su noi esseri umani: sempre lì ad ingozzare i pulcini appena nati, ed in 37 giorni riusciamo a farli pesare un chilo e settecento grammi. Perché abbiamo fretta di farli crescere e di distribuire i polli nei supermercati e nelle rosticcerie per venderlo e farlo mangiare.
Stessa cosa, se non peggio, succede a vacche e manzi in quelli che dovrebbero essere allevamenti divenuti ormai a grandezza “industriale”, «vere e proprie fabbriche della carne e del latte (che) per far crescere in fretta un bovino o fargli fare più latte gli si danno i cereali, su 10 chili di mangime 7 sono di cereali proteici come mais e soia» (15).
E “spremendola” troppo la mucca accorcia la sua “carriera” per la produzione del latte: presto, molto presto, dovrà essere “rottamata” come una vecchia autovettura. Perché la stressiamo quando vogliamo che produca sempre più latte.
E lei, poveretta, non ce la fa proprio più! Comincia ad avere problemi, ad esempio, ad essere ingravidata oppure appunto a produrre latte. Il loro destino sarà dunque quello della macellazione per essere trasformate in bistecche e hamburger.
In questo modo, con la fretta e la corsa contro il tempo, abbiamo per così dire “violentato” la natura, gli animali. E quelli citati sono solo degli  esempi di come oramai l’essere umano non segue più i cicli naturali del Tempo biologico.

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(1)  L. De Crescenzo, “Il pressappoco” Oscar Mondadori 2007, pag. 103-104
(2) M. Pappagallo, “E don Verzé punta sui “giovani centenari - Ricerca: Il progetto del fondatore del San RaffaeleCorriere della Sera del 10/3/2008 p. 21
(3)  Ibidem
(4) (Ansa) 2009-07-10 08:43 , “Mangiare meno allunga la vita, le scimmie confermano”.
(5)  Ibidem
(6) Tratto dall’inserto Salute, supplemento settimanale de La Repubblica del 10/7/2009 p. 4
(7)  A. Galavotti, “Fugge o non passa mai…” in Mondo Erre, n^1 – gennaio 2008 p. 37
(8)  Ibidem p. 38
(9) Ibidem p. 37
(10) Ibidem p. 38
(11) A. Retico, “La corsa infinita della maratoneta senza memoria” in La Repubblica del 13/7/2009 p. 34
(12) Ibidem
(13) A. Galavotti, “Fugge o non passa mai…” in Mondo Erre, n^1 – gennaio 2008 p. 39
(14)  Ibidem
(15) M. Buono e P. Riccardi “Carne per tuttiReport, trasmissione del 17/05/2009 su RaiTre dal sito www.report.rai.it

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