mercoledì 7 novembre 2012


 >> Il Tempo nella vita moderna: <<
     un’Era ad Alta Velocità
(5^ puntata)


“Il denaro può comprare un orologio
 ma non il Tempo”
(Detto cinese)


«5 minuti e arrivo! (in realtà sono ancora in mutande!!!) Apprendo con onore che le persone che fanno 5 minuti di ritardo in questa nazione sono più di mezzo milione. Ragazzi miei, non siamo soli!!!» (1). Dunque non c’è tempo da perdere! Sia nel lavoro, sia negli spostamenti che nell’amore. «Faremmo qualsiasi cosa per recuperare una manciata di minuti, nell’illusione di poterli poi spendere per qualcosa di intelligente o di divertente. Poi a sera o cadiamo stremati dalla fatica, o – finalmente padroni di quel paio d’ore di tempo risparmiato – veniamo tormentati dalle scelte su come impiegarlo, o per qualcuno, addirittura dalla noia. Eppure la nostra vita media non è mai stata così lunga dell’inizio della storia dell’uomo, e diventare centenari non è più un miraggio per pochi eletti.» (2).

Pare che l’uomo moderno stia vivendo in un’Era ad Alta Velocità, sempre con il sedere poggiato su auto velocissime, scegliendo, là dove ci sono, treni superveloci (vedasi ad esempio la tanto decantata Tav) o su aerei supersonici...

Vivere tutti i giorni a 300 chilometri all’ora, come succede per i piloti, può influenzare la propria vita e far cambiare il rapporto con il Tempo: a quella velocità quello che è un decimo di secondo e sembra non dire nulla alla maggior parte della gente, per il pilota vuol dire metri e metri di pista.  Ciò dovrebbe essere solo nelle gare di velocità dove le frazioni di secondo hanno un peso determinante per la buona riuscita delle gare. Ma la vita dovrebbe essere un’altra cosa.

Non per tutti è però così ovvio: per la maggior parte di uomini moderni (salvo rarissime eccezioni) tutta la vita è frenetica, stressante, si è perso il senso, nessuno ha più tempo da perdere…ed i rapporti umani sono soppesati e quantificati solo con il cronometro alla mano.

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Persino i sentimenti come l’amicizia e l’amore vengono considerati solo nei ritagli di tempo tra un cliente e l’altro, con una telefonatina, con uno “squillo” al cellulare...Perchè il tempo vola, fugge, e per taluni l'elogio della fretta, del frenetismo aiuta a non far pensare, per dei rapporti d’amore stile “mordi e fuggi”. Dove anche quando un supermanager mangia un panino in un freddo autogrill sta al telefono ed al computer portatile in contemporanea per risparmiare tempo: per lui vale solo la regola “Il Tempo è denaro”!! A scapito della sua salute, della sua digestione, del suo stomaco e dello stress che, prima o poi, (ma non lo auguriamo a nessuno) toccheranno il cuore con l’infarto.

Insomma una lotta spasmodica contro il Tempo!

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Si racconta che Bill Gates, il mitico (?) fondatore di Microsoft, sia ossessionato dalle perdite di tempo e che sia altrettanto famoso per le corse all’aeroporto per imbarcarsi all’ultimo secondo. Ma forse è solo una delle ennesime leggende metropolitane che si tramandano su di lui.
Sta di fatto che noi ci facciamo prendere la mano dal tempo, non riusciamo nella vita moderna a dominarlo! «Come lo si signoreggia allora il tempo?» si chiede Salvatore Natoli e al sua stessa risposta è «Innanzitutto cercando di dominarlo, cioè di raggiungerlo, quasi di anticiparlo, di essere più in tempo, in tempo» (3). Lo stesso Natoli ci parla del progresso dicendoci che «Il progresso è quell'atteggiamento dell'uomo che non vuole farsi prendere in contro tempo da ciò che sopravviene. Lo deve costantemente anticipare. Per non essere in contro tempo bisogna anticipare il tempo e quindi progettare. (...) Nel moderno c'è questo movimento che abbiamo visto verso il futuro, c'è questo momento acceleratore. E' velocissimo: non farsi prendere in contro tempo dal tempo» (4).

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Pare che - ci dice il Presidente del Consiglio Berlusconi - don Luigi Verzé prima di morire (deceduto alla fine del 2011) stava sperimentando nella sua clinica di Milano un mix di farmaci per farci vivere il più a lungo possibile: pare fino a 120 anni! 
 Ma se davvero si vivesse fino a quell’età che tipo di vita si farebbe? Rilassata? Oppure di corsa, frenetica, con il fattore Tempo sempre più assillante? Certo, per vivere fino a 120 anni bisogna stare bene, in salute, senza soprattutto stress e adrenalina a mille: sarebbe rischioso, soprattutto per il sopraggiungere di infarti vari, attacchi cardiocircolatori  e via discorrendo.
Certo è che se la qualità della vita fosse migliore, se non ci fosse più bisogno di frenetismo, se si vivesse fino a 120 senza più correre dietro le lancette dell’orologio…molti ci farebbero la firma!!!
Pensate solo che in Italia al primo gennaio 2009 gli anziani over 65 erano il 20,1% della popolazione italiana, mentre negli Stati Uniti circa 40 milioni di americani, uno su otto, ha 65 anni e più e nel resto del mondo nel 2050 l’aspettativa di vita alla nascita salirà a 76 anni (adesso è 68 anni) e in Occidente a 83 (dai 77 ora) (5)..
L’Italia invece è «il paese più ingrigito nei paraggi. Non soltanto perché ormai è un italiano su cinque che ha più di 65 anni, ma perché quelli che hanno più di 80 sono diventati il 5,3% della popolazione totale» (6).
E’ incredibile come, da una ricerca americana, le persone anziane si percepiscono in media più giovani di due decenni. E più i vecchi invecchiano e più si sentono giovani: «Voglia di fare, aspettative, felicità addirittura. Un futuro. (…) Tanto che se gli over cinquanta dichiarano di “percepirsi” con dieci anni di meno addosso rispetto a quello che testimonia la carta d’identità, un terzo dei 65-74enni di anni se ne scalano (nell’anima, nell’emozione) fino a 19 e un sesto degli ultra 75 fino a venti»(7).
Pensate, per fare un esempio tutto italiano, che l’astrofisica Margherita Hack si “percepisce” «Venti. Ok, diciamo venticinque. Certo, qualche acciacco comincio a sentirlo. Cammino male e a volta ho un po’ d’affanno. Tre by-pass. Prendo le medicine che mi hanno prescritto, ma poche altre precauzioni. Ho molto da fare» (8). La sua “ricetta” per rimanere così “giovani” è quella di rimanere attivi mentalmente, muoversi ed andare in bicicletta, essere curiosi…«(…) Scrivo, studio, faccio conferenze, spiego. Ho due libri in programma, viaggio. Mi diverto, e posso farlo gestendo il mio tempo. Bisognerebbe moltiplicare le offerte per gli anziani o ex tali. (…) Invecchiare bene è rimanere connessi, con le persone e anche con Internet, che mette in contatto a qualsiasi anagrafe»(9).
Paradossalmente, invece, conosciamo giovani diciotto-ventenni che, dal loro stile di vita e da ciò che pensano, ci sembrano dei vecchietti, spenti, se non altro perché non sono curiosi, non sono attivi e non fanno attività fisica per mantenersi giovani e sani, cosa che invece gli over 60 in media svolgono regolarmente. Come dice Corrado Augias: «Conosco ottantenni pieni di fantastico vigore e sessantenni spenti come un cero in sacrestia»(10).
Inoltre «gli under 30 sembrano più sfiduciati e anche terrorizzati dal “dopo”: abbassano a 60 l’inizio della decadenza, proprio così se lo immaginano quell’ingresso vicino e difficile» (11). Sembra quasi che invecchiare sia una malattia, cosa che non lo è mai stato. Certo ci sono i primi acciacchi, la salute si fa sentire, magari si vive con una sola misera pensioncina assottigliando un po’ la disponibilità economica. Forse l’unico grande rischio che si incorre è quello della solitudine.
Sempre nel nostro paese la vecchiaia inizia quando ci si sente inutili, quando con la pensione la persona non è più “produttiva” per la società, perché è il lavoro che favorisce ed intesse le relazioni sociali. Una svolta smesso quello la persona è come si sentisse “esclusa”, soprattutto se prima non ha coltivato per suo conto degli hobby, degli interessi altri, se non ha una occupazione soprattutto per non far invecchiare la mente. Per molti anziani la vita va vissuta fino in fondo e si devono provare emozioni fino alla fine.
Diceva Norberto Bobbio, filosofo, nella sua celebre Lectio sulla vecchiaia: «La soglia della vecchiaia in questi ultimi anni si è spostata di circa un ventennio. Coloro che hanno scritto opere sulla vecchiaia, a cominciare da Cicerone, erano sulla sessantina. Oggi il sessantenne è vecchio solo in senso burocratico, perché è giunto all’età in cui generalmente ha diritto a una pensione…lo spostamento è stato tale che il corso della vita umana, tradizionalmente diviso in tre età, si è prolungato nella cosiddetta “quarta età”».

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Certo, per stare bene tutti bisognerebbe darsi del Tempo, bisognerebbe fermarsi di più a riflettere sulle cose della nostra vita, sugli affetti, sugli amori, non bisognerebbe insomma farsi travolgere dalle scadenze, emergenze vari, insomma dagli eventi. Forse – e sottolineo forse - solo se si è ricchi e non c’è bisogno di correre in città da un appuntamento di lavoro ad un altro, se ci si possono concedere delle giornate di relax, di ozio, da dedicare magari al nostro sport preferito: perché tanto alle incombenze di tutti i giorni ci sono dei segretari, dei nostri lavoranti che paghiamo. Mentre noi ci rilassiamo, oziamo…
Ma la realtà delle cose non è proprio così. Ci sono tanti cittadini, uomini e donne, che sgobbano 365 giorni all’anno e corrono, corrono, corrono: prospettar loro una vita così stressante da protrarsi fino a 120 anni sarebbe una follia.

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Il fattore Tempo per i normali lavoratori, che siano medici, operai, sindacalisti, commessi o altro, è sinonimo di ore e ore fuori di casa, di stanchezza fisica, di rapporti umani talvolta superficiali…
Forse che lavoriamo tutti troppo? Quanto incide il lavoro come tempi nella nostra vita?
Ad esempio un sindacalista di Torino che difende gli operai metalmeccanici afferma: «La caratteristica del mio lavoro è che non si stacca mai, diciamo che la media potrebbe essere calcolata in dieci ore al giorno. (…) Si inizia prestissimo al mattino e si finisce molto tardi la sera, seguendo questioni, come la firma di un accordo, che richiedono grande attenzione. E quando c’è un’emergenza (…) la sogni anche di notte. Credo che lavorare meno consentirebbe una qualità migliore, in fabbrica come nel sindacato»(12).
A fargli eco, a ruota, è anche un magistrato piemontese che dice: «Lavoro non meno di otto ore tra il lunedì e il venerdì, il sabato almeno mezza giornata e comunque nel weekend porto a casa fascicoli o altre carte: un’abitudine che ho da moltissimi anni. (…) Normalmente arrivo in ufficio verso le 9 o le 9,30 e me ne vado a metà pomeriggio sena intervalli. I magistrati non hanno un obbligo d’orario, la quantità dipende dall’impegno dei singoli e ciascuno può organizzare il proprio lavoro come vuole, si può decidere ad esempio se scrivere le sentenze a casa o in ufficio»(13).
Eppure fino a qualche tempo fa si volevano rivedere i Tempi dei servizi pubblici, dei lavoratori dipendenti pubblici. Si parlava della possibilità di part-time diffusi o di «politiche pubbliche per ”armonizzare” i tempi e gli orari dei servizi e delle fabbriche, dei trasporti e delle scuole»(14). Poi però non se n’è fatto più nulla, fino ad arrivare alle difficoltà anche per avere dei part-time che fa dire al dirigente dell’ufficio Tempi e Orari del Comune di Torino «Il nostro non è un servizio essenziale»(15), complice forse della cosiddetta “Era Brunetta”: qualche tempo fa, infatti, il ministro della Funzione pubblica dava la caccia nel settore pubblico ai cosiddetti “fannulloni”.
I dati, ad esempio, dell’ultima ricerca della città di Torino «sottolineano come – ad esempio – nelle famiglie anche i padri contribuiscano più di un tempo alle attività domestiche e con i bambini (circa 30 minuti di tempo di più al giorno, per una media di un’ora e mezza nelle giovani coppie), senza con questo diminuire il tempo dedicato al lavoro. Si lavora di più nelle piccole e medie imprese rispetto alle grandi (6,7% in più di orario per gli operai delle fabbriche fino a 20 dipendenti), e il part time in media equivale al 58% dell’orario pieno».(16).
Incredibilmente poi è l’uso del Tempo per chi ha un lavoro: sempre più spesso il lavoratore taglia le pause pranzo ed anche il fine settimana, soprattutto se la carriera avanza. Inoltre - ed anche questo ha dell’incredibile - «crescono le aziende che recapitano pasti a domicilio pesanti per la pausa in ufficio o borse termiche con tutto il necessario per stare a dieta e tre pasti già pronti (www.diet-to-go.com) e perfino le palestre che anziché la tradizionale ora di lezione propongono i trenta minuti compatibili, compreso il cambio d’abiti e un panino, con l’intervallo di un dipendente (è il lungh break gym)»(17)..
Secondo sempre i dati Istat l’aumento medio dell’orario di lavoro tra il 1993 e il 2007 a Torino è stato del 10,7% , con un lavoro medio quotidiano dei torinesi in ore al giorno pari all’8,07% per gli uomini e 6,32% per le donne; il lavoro medio in casa delle donne torinesi sempre misurato in ore al giorno pare sia del 7,44% per le casalinghe e del 3,50% per quelle occupate; invece il tempo libero medio per i torinesi uomini, sempre in ore al giorno, è pari a 4,41% mentre per le donne è di 3,06%; un ultimo dato riguarda il tempo dedicato agli spostamenti per i torinesi, valutato sempre in ore al giorno, che è pari a 1,25% per gli uomini e dell’1,18% per le donne(18).

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Esistono poi i danni da superlavoro, danni dovuti alle troppe ore passate a sudare come operaio alla catena di montaggio, oppure trascorse alla scrivania con gli occhi incollati al monitor del computer.
E i danni non sono solo per il lavoratore, ma anche paradossalmente per l’azienda: «il cavallo spremuto non rende, costa come quello fresco e produce molto meno»(19).
E’ proprio vero che «la nostra società ha mercantilizzato tutto e incide sull’umanità dell’uomo; l’individualizzazione che sta recidendo i legami di solidarietà rende gli uomini nudi di fronte alle ferree leggi dell’economico. Quando si ragiona attorno alla “forza lavoro” e non agli uomini e alle donne, si apre una strada pericolosa poiché ci si dimentica della complessità che costituisce ogni essere umano e il suo essere provvisto di una cultura, di una tavola di valori e soprattutto di umanità. Non possiamo accettare la riduzione della persona ad essere modulare, quasi fosse un mobile Ikea che si può montare e smontare a seconda delle esigenze»(20).

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Dicevamo che lavorare troppe ore può danneggiare sia gli stessi uomini che i bilanci delle aziende. Tempo fa il New York Times ha riportato le ricerche di un signore, tal professor Whaples della Wake Forest University del North Carolina, in cui si dice che mettere le persone al lavoro più di 60 ore la settimana «può essere controproducente anche per le aziende. I dipendenti che sono impegnati al limite delle loro possibilità o che sono preoccupati per aver trascurato i loro affari privati a vantaggio del lavoro, hanno maggiori difficoltà a raggiungere una prestazione ottimale»(21). Pensate amici che in America «il 21 per cento dei top manager meglio pagati negli Stati Uniti dichiara di lavorare oltre 60 ore la settimana in condizioni di stress. E lo fanno quasi sempre con passione (mentre) Molti non si accorgono nemmeno di essere stressati»(22).
In Italia ed in Europa invece sembra che il “signor Stakanovich” non sia proprio di casa. Non quanto è negli States. In Francia, ad esempio, secondo i dati dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, il superlavoro ha degli alti costi sociali e di assistenza: vengono spesi 1,2 miliardi di euro all’anno per gli incidenti e le malattie professionali legate allo stress; mentre secondo l’Università della Borgogna è l’assenteismo a fare più danno economico, circa 280 milioni di euro che si riversano sui contribuenti, ovvero fanno più danni economici i fannulloni tanto combattuti dal ministro Brunetta di cui abbiamo accennato sopra.
Però in Francia il Primo Ministro «Nicolas Sarkozy ha combattuto le 35 ore dei lavoratori con lo slogan “lavorare di più per guadagnare di più»(23).
Nel nostro Paese Andrea Pininfarina sosteneva che lavorare troppo «non è un problema dell’Italia. E’ ben possibile che situazioni di questo genere si verifichino negli Stati Uniti ma non direi che quella del lavoro eccessivo dei dipendenti sia una questione che toglie il sonno agli imprenditori italiani»(24), mentre alcuni altri imprenditori sostengono «che lo stress migliora le prestazioni lavorative dei dipendenti e che dunque un certo livello di stress è auspicabile. Altri affermano il contrario»(25).. Ma l’Italia si barcamena tra gli stakanovisti, i cosiddetti fannulloni ed una legge all’avanguardia in materia di sicurezza e stress sul lavoro che «recepisce un importante accordo europeo contro gli effetti dello stress»(26) come ci ricorda il procuratore di Torino Raffaele Guariniello. Il testo di legge serve ad «aumentare la consapevolezza e la comprensione degli imprenditori, dei lavoratori e dei loro rappresentanti sullo stress da lavoro»(27) mentre lo stesso Guariniello ci ricorda, ad esempio, che «l’asl di Torino ha imposto alla Telecom di ridurre i ritmi di lavoro nei call center per evitare ricadute negative sulla salute degli addetti»(28). Le ricerche effettuate dall’Isfol dicono che il 43% dei lavoratori precari è colpito dallo stress, gli autonomi il 38%. Stress da lavoro che vede tra le cause principali «il prolungarsi dell’orario e l’aumento dei ritmi»(29).
Non la vede alla stessa maniera il decano dei medici del lavoro piemontesi, Alessandro Berra sulla soglia degli 80 anni che, fino a pochi anni fa, era ancora responsabile sanitario della FiatAuto. «Se dovessi dire – sostiene senza peli sulla lingua il dottor Berra – che considero lo stress da lavoro un problema grave direi una bugia. Io ho 78 anni e lavoro ancora oggi 12 ore al giorno come consulente»(30). Eppure la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dice che il 27% dei lavoratori europei è colpito da stress. Ancora è il dottor Berra a dire: «Siamo poi così sicuri che le persone con molto tempo libero a disposizione si stressino di meno? C’è gente che usa il tempo libero per compiere un sacco di fesserie. In quel caso è meglio lavorare» (31). Eppure anche le aziende stesse sanno della malattia da stress, sanno che il problema c’è ed è concreto: tant’è che alcune di esse organizza per i suoi manager dei corsi antistress pagati dalle loro imprese…contro il logorìo del lavoro moderno!!

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C’è poi chi tenta una fuga dal tempo stressante del lavoro navigando in internet, leggendo e sfogandosi delle frustrazioni lavorative scrivendo e-mail dal proprio ufficio. Ed i datori di lavoro, imprese e aziende tuonano contro i propri dipendenti sostenendo che così perdono un sacco di tempo: c’è addirittura chi ha stimato tale perdita in «milioni di giornate di lavoro in tutto il mondo»(32). Oggi sono gli stessi datori di lavoro che, in alcune aziende più severe, “controllano” la casella di posta elettronica del proprio dipendente (alla faccia della privacy), mentre addirittura alcune di esse vengono bloccate verso siti ed indirizzi non autorizzati se non quelli di lavoro.
Certo è che se una delle «più grandi aziende di servizi di consulenza e revisione del mondo, con 162 mila dipendenti sparsi in 142 Paesi»(33) ha in problema che in media escono circa «200 messaggi di posta quotidiani a testa»(34) e che quindi «basta allora moltiplicare il tempo perso a pulire la propria casella per il numero di impiegati e capirete che si tratta di un problema davvero grosso»(35), vale a dire che gli inglesi, ad esempio, «per colpa delle e-mail perderebbero ogni anni 14 milioni di giornate lavorative»(36) come sostiene lo psicologo Cary Cooper, professore di Organisational Psychology and Health alla University Management School di Lancaster.

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E se fin da piccini, per non crescere stressati, si riducessero anche gli orari della scuola dell’obbligo? Se per esempio si facesse la settimana corta, anzi cortissima, anche per i bimbi che si affacciano alle scuole elementari? Certo non sarebbe male avere uno o due giorni in più per stare a casa a giocare, oppure con mamma e papà per fare una gita, o per correre al parco giochi con la nonna e il nonno.
Se ne era parlato (e proposto) in Francia qualche tempo fa sposando «la filosofia del “studiare meno per imparare meglio”»(37)arrivando ad una proposta che avrebbe dovuto prevedere un tempo scuola fatto solo di «quattro giorni sui banchi per i bambini da tre a dieci anni. (…) Dopo il mercoledì, tradizionale giorno libero da oltre un secolo, adesso arriva anche il sabato»(38) mentre lo stesso ministro dell’Istruzione francese sosteneva che questa settimana cortissima sarebbe servita «per far respirare la mente e liberare la creatività»(39). Ma se i giorni liberi dalla scuola per i giovani allievi francesi non coincidono con il tempo lavorativo dei genitori? Come può fare il padre o la madre che lavora tutta la settimana? «Il mercoledì non sono mai riuscito a stare a casa, adesso finalmente potrò vedere mia figlia nel weekend, senza limitazioni»(40), sosteneva un padre francese quando nacque la proposta della settimana corta francese. Tale proposta invece venne vissuta male da altri genitori, proprio come una vera e propria disgrazia. Ad esempio una mamma che lavora come ristoratrice, divorziata, ebbe a dire «Bene, e adesso a chi lascerò mio figlio?»(41), soprattutto perché «il sabato mattina era il giorno del passaggio di consegne con l’ex marito. “Lui andava a prendere Nicolas alla materna”. Lei andava a fare la spesa per il suo locale. “Adesso dovremo trovare una soluzione con una qualche struttura privata”»(42).
Ad essere contrario alla proposta francese della settimana cortissima a scuola c’è anche un ricercatore dell’Università di Tours che lavora da anni proprio all’organizzazione del tempo sia scolastico che biologico: «Invece che migliorare la qualità della vita, aumenterà il fallimento scolastico. (…) Gli alunni faticano già a riprendere lo studio con un’interruzione in piena settimana, figuriamoci adesso con due giorni interi di weekend»(43).
In Italia invece la settimana corta fatta di cinque giorni e il sabato libero fino al 2008 esisteva già sia per le scuole materne che per quelle elementari. Se i genitori optavano per le 27 o 30 ore di lezione settimanali allora ci si poteva organizzare con 5 giorni di lezione. Mentre il problema si verificava alle scuole medie ed alle superiori per via dell’alto numero di ore che facevano perché, per garantire il sabato a casa, avrebbero dovuto fare parecchi rientri pomeridiani. Ma all’inizio dell’anno scolastico 2008-2009 risultava che il tempo scuola di fatto per alcuni risultava diminuito, mentre ad esempio alle scuole medie inferiori calavano drasticamente i progetti e le attività laboratoriali pomeridiane rese facoltative e a pagamento. Ciò ha voluto dire però che certi giorni gli studenti rimanevano a scuola ben 8 ore, mentre per i rientri pomeridiani il problema era e rimaneva la mensa.





(1)E’ una battuta tratta da Facebook
(2)     L. Mercalli, “Noi sempre di corsa non abbiamo più tempo” in La Repubblica-cronaca di Torino del 17/5/2009
(3)     S. Natoli, Laicità del tempo nel pensiero filosofico occidentale in “Tempo sacro e tempo profano – Visione laica e visione cristiana del tempo e della storia” a cura di L. De Salvo e A. Sidoni Ed. Rubettino, Soveria Mannelli (Cz) 2002, p. 265.
(4)     Ibidem
(5) Dati tratti da La Repubblica del 2/7/2009 p. 43
(6) A. Retico, “Vivere con vent’anni di meno” in La Repubblica del 2/7/2009 p. 43
(7) Ibidem
(8)  R., “Ho acciacchi e tre bypass ma sono ancora una ragazzina” in La Repubblica del 2/7/2009 p. 43
(9) Ibidem
(10)  C. Augias in La Repubblica del 28/7/2009 rubrica “Lettere, Commenti&Idee” p. 26
(11) Ibidem
(12) Il Sindacalista “Dall’alba a notte Non si stacca mai”, in La Repubblica – Cronaca di Torino del 26/10/2008 p. XI
(13) Il Magistrato “Vado in ufficio anche al sabato”, in La Repubblica – Cronaca di Torino del 26/10/2008 p. XI
(14) V. Schiavazzi, “Il fattore Tempo – Segnano il passo le politiche per orari ‘amici’ dei cittadini” in La Repubblica – Cronaca di Torino del  26/10/2008 p. XI
(15) Ibidem
(16) Ibidem
(17) Ibidem
(18) Ibidem
(19) P. Griseri, “Lavorare tanto fa male (anche ai padroni)”, in La Repubblica del 6/8/2008 p. 27
(20) S. Pezzotta, “I lavoratori soggetto non oggetto del lavoro” in San Francesco patrono d’Italia n. 1 gennaio 2008, p. 10
(21) P. Griseri, “Lavorare tanto fa male (anche ai padroni)”, in La Repubblica del 6/8/2008 p. 27
(22)Ibidem
(23) A. Ginori, “Scuola – La settimana cortissima” in La Repubblica del 26/8/2008 p. 34-35
(24) P. Griseri, “Pininfarina: ‘Non è un problema italiano da noi il super lavoro non è mai esistito?”, in La Repubblica del 6/8/2008 p.29
(25) Ibidem
(26) P. Griseri , “Lavorare tanto fa male (anche ai padroni)”, in La Repubblica del 6/8/2008 p. 28
(27) Ibidem
(28) Ibidem
(29) Ibidem
(30) Ibidem
(31) Ibidem
(32) J. D’Alessandro, “E-mail Perdi tempo, lavori meno i danni da dipendenza” in La Repubblica del 17/9/2008 p. 43
(33) Ibidem
(34)Ibidem
(35) Ibidem
(36) Ibidem
(37) A. Ginori, “Scuola – La settimana cortissima” in La Repubblica del 26/8/2008 p. 33
(38) Ibidem
(39) Ibidem
(40) Ibidem
(41)  Ibidem
(42)Ibidem
(43) Ibidem

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